Lucain en débat. Rhétorique, Poétique et Histoire. (italienisch)

Olivier Devillers – Sylvie Franchet D’Espérey (édd.), Lucain en débat. Rhétorique, Poétique et Histoire. Actes du Colloque international, Institut Ausonius (Pessac, 12-14 juin 2008), Ausonius Éditions, Études 29, Bordeaux 2010; un volume di 373 pp., 35 euro.

Il presente volume raccoglie gli Atti del Convegno Lucain en débat. Rhétorique, Poétique et Histoire, tenutosi fra il 12 e 14 giugno 2008 a Bordeaux, promosso e sostenuto dall’Institut Ausonius. Come recita il titolo, l’opera lucanea non è solo un poema che ha per argomento il contrasto fra Cesare e Pompeo, ma è davvero essa stessa teatro di dibattito e scontro per quanto riguarda il conflitto delle interpretazioni dell’opera, autentico campo di battaglia su cui si sono contrapposti, ricapitola la curatrice, S. Franchet D’Espérey, nell’Introduction (pp.13-18), soprattutto studiosi anglosassoni e italiani, a partire da Emanuele Narducci. Quest’ultimo, notoriamente, del giovane autore della Pharsalia è stato fin dai primi anni di ricerca scientifica un attento esegeta, capace di riportare il poema agli onori del dibattito critico, coniando, fra l’altro, formule di successo, sin dal suo La provvidenza crudele. Lucano e la distruzione dei miti augustei (Pisa 1979) passando poi attraverso il polemico articolo Deconstructing Lucan[1], per arrivare poi al suo ultimo volume: Lucano. Un’epica contro l’impero. Interpretazione della Pharsalia, Roma-Bari 2002.

Per decenni, non diciamo per secoli, ma certo ancora per tutto il XIX e l’inizio del XX secolo, il grande interrogativo attorno a cui ruotava la critica lucanea riguardava la qualità dell’opera, così dissimile dall’epico latino per eccellenza, ovvero Virgilio. E le risposte, pur se molto variabili (memorabile l’opinione di Leopardi che riteneva Lucano superiore financo al Mantovano), si orientavano nel senso di un’innegabile, necessaria e inevitabile decadenza dell’epica post-Eneide. Dall’inizio del XX secolo sino alla metà degli anni Settanta, invece, gli interrogativi su Lucano diventano più sottili e diversificati, in parallelo con l’approfondirsi dello studio esegetico e la rivalutazione della cosiddetta “latinità argentea”: essi riguardano l’intento dell’autore, ovvero la sua adesione alla filosofia stoica, le convinzioni politiche di Lucano, cioè la sua più o meno profonda professione di fede repubblicana e, infine, il genere letterario in cui catalogare la Pharsalia. In altre parole, il poema di Lucano ha posto nei decenni seri interrogativi di genere, giacchè gli interpreti si sono chiesti a più riprese se essa possa essere classificata come un vero poema epico, o se non travalichi piuttosto i limiti imposti dall’epica stricto sensu, risentendo di commistioni, per esempio, con lo statuto della tragedia. Fanno fede di questo rinnovato spirito con cui guardare a Lucano due importanti volumi, il primo edito da Durry per gli Entretiens de la Fondation Hardt e il secondo, non meno importante, curato da Fr. M. Ahl poco dopo la metà del decennio[2]. È cambiata, in altre parole, la prospettiva con cui guardare all’opera letteraria lucanea, e questo ha comportato un significativo aggiustamento, con effetti benefici, in termini di riconoscimento sia della complessità che della ricchezza della sua poesia, anche sul piano dell’analisi letteraria e del pensiero. Pertanto, molto opportuno appare il titolo del volume, che evoca un dibattito su tre tematiche ancora aperte quando si parla di Lucano. In primo luogo, la retorica, che informa di sé tutta l’opera – e, potremmo dire, tutta la letteratura di età neroniana, in forma ancor più decisa ed esibita di quanto non accadesse in età augustea – e che riveste un duplice ruolo. Da un lato, infatti, essa riflette l’educazione dell’autore, ma, dall’altro, è un codice che, al di là del contesto storico, se opportunamente usato, permette la corretta decifrazione del messaggio profondo di cui il testo è portatore. Essendo inoltre la Pharsalia poema storico, è la storia il primo referente, esteriore al testo, che si offre all’indagine dello studioso; infine, il terzo macro-ambito di analisi è la poetica, che si avvale dei primi due elementi, e viene messa a sua volta in relazione con l’ideologia, nel suo senso più vasto, includendo a sua volta altre variabili (quali la presenza e le forme della violenza, le immagini della morte, o il ruolo dell’elemento femminile) inserite in un contesto culturale in continua evoluzione.

Gli interventi riuniti nel presente volume sono pertanto ordinati secondo questi tre grandi blocchi tematici, e toccano i seguenti argomenti: per quanto riguarda i rapporti fra dato storico e creazione letteraria (Histoire et création littéraire, pp. 19-90) si succedono i contributi di S. Bartsch, Lucan and Historical Bias (pp. 21-31), che si conclude con la definizione di Lucano, dal punto di vista storico, come anti-Velleius, e di P. Esposito, Riprese e corrispondenza interne nel Bellum Civile di Lucano (pp. 33-42). Nella sua analisi, Esposito arriva a consentire una sensata ipotesi sulla struttura dell’opera, giacché “considerando le implicazioni di una probabile composizione per tetradi, e considerando la prima dominata da Cesare, la seconda da Pompeo, si può ipotizzare che ne fosse stata prevista una terza, avente per protagonista Catone, la cui morte avrebbe concluso l’opera” (p. 42) proprio al dodicesimo libro, come già congetturato da J. Radicke e Fr. M. Ahl. Successivamente, J-P. Aygon si concentra, nel suo contributo, sull’Insertion de quelques descriptiones locorum dans la narration chez Lucain: le jeu avec la tradition épique (pp. 43-54), descriptiones che discostano la Pharsalia dagli usi epici tradizionali, sia per le modalità dell’inserzione dell’ekphrasis nel testo, sia per i motivi sviluppati. M. Dinter, Les sentences chez Lucain (pp. 43-52) esplora poi i legami fra uso delle sententiae, retorica e ideologia, proponendoci un interrogativo: i lettori del poema lucaneo traevano da queste massime insegnamenti relativi all’epoca di Cesare e Pompeo o relativi alla propria epoca? I. Meunier, nel suo saggio Le renouvellement du motif épique du catalogue dans le Bellum Civile de Lucain (1.392-522): dangers et pouvoirs de la fama, pp. 63-75, si concentra invece su due elementi topici della poesia epica, che Lucano sa trattare in forma intelligentemente innovatrice. Ultimo contributo della prima sezione, lo studio di B. Bureau, Lucanus […] videtur historiam composuisse, non poema. Lucain, l’histoire et la mémoire poétique (pp. 76-86), analizza, e smonta, la critica tradizionalmente riservata a Lucano, che vedeva in lui non tanto un poeta, quanto uno storico. Ebbene, coloro che persistono in tale tipo di attitudine critica dimostrano di non aver saputo analizzare a fondo lo specifico e l’essenza della Pharsalia, un’opera che ci ammonisce dal pensare la memoria del fatto storico come irriducibile, di per sé, all’applicazione di quello che l’autore definisce le labeur sacré des poètes (p. 87)

Il secondo blocco di contributi (pp. 91-223), dall’eloquente sottotitolo: Idéologie, ordre et désordre, accoglie una serie di saggi di argomento vario, ma dal comune denominatore: l’indagine, ideologicamente connotata, circa la presenza e il valore dell’elemento femminile nell’opera epica (come dimostrano i contributi di J. Dangel, Les femmes et la violence dans le Bellum Civile de Lucain: écriture symbolique des deviances de l’histoire, pp. 91-104 e di L. Sannicandro, Nunc flere potestas: Bellum Civile e lamento femminile, pp. 105-111). Al dibattuto tema del quadro di riferimento lucaneo per quanto concerne la considerazione della divinità è dedicato il contributo di Th. Baier, Lukans epikureisches Götterbild (pp. 113-124), mentre F. Delarue si sofferma sulle scene corali e di massa nel poema, proponendo lo studio Les foules de Lucain: émergence su collectif (pp. 125-136), in cui emerge come le masse siano simboli, spesso “eroi collettivi” i quali, sia durante la battaglia di Marsiglia, sia durante le peripezie nel deserto della Libia, rappresentano efficacemente una Roma lacerata dalla crudeltà dello scontro civile. All’altra forza distintiva dell’identità romana, il senato, è dedicato invece lo studio di M. Ducos, Le sénat dans l’épopée de Lucain (pp. 137-148), in cui emerge come il poeta proponga una rappresentazione complessa del Senato e dei senatori: uomini con una loro individualità ben precisa, o colti nella loro massa, che incarnano una causa, una parte politica specifica, ma anche elementi costitutivi di un ordine e un’istituzione che si afferma come essenziale per la sopravvivenza e l’identità di Roma grazie al suo potere decisionale e alla sua lunghissima tradizione.

All’enigmatico prologo dell’opera è invece dedicato il contributo di F. Ripoll, L’enigme du prologue et le sens de l’histoire dans le Bellum Civile: une hypothèse interprétative (pp. 149-158), concluso dall’affermazione per cui, dopo attenta analisi di tutti gli elementi disponibili, si può dire, secondo l’autore, che l’elogio di Nerone da parte di Lucano sia del tutto sincero. In altre parole, il giovane poeta nipote di Seneca sarebbe effettivamente felice che l’esito ultimo di tanto sangue versato nelle guerre civili sia stato il principato di Nerone, ma non perché questo rappresenti il Fine ultimo della Storia (impressione che si potrebbe ricevere da una prima lettura di tale prologo), quanto perché tale principato rappresenta una parte, forse l’ultima, di un ciclo chiamato a chiudersi, quello della dominatio apertosi con la crudele vittoria di Cesare su Pompeo a Farsalo (p. 158).

Ai personaggi di quello che già in passato venne detto “poema senza eroi” sono dedicati i contributi successivi: quello di M. Leigh, “César coup de foudre”: la signification d’un symbole chez Lucain (pp. 159-165), dedicato alla figura del personaggio “nero” che domina l’opera con il suo attivismo malefico; di converso, a Catone, incarnazione del sapiens stoico, è dedicato lo studio di I. Cogitore, Caton et la libertas: l’apport de Lucain (pp. 166-177), che si conclude riconoscendo il conferimento a Catone, nel libro IX del poema, di un autentico statuto politico, ancorché si tratti dello statuto di uno sconfitto; e pur in tale frangente, nella figura dell’Uticense il poeta sa ridisegnare i contorni della figura di un autentico uomo politico. R. Utard, invece, si sofferma, nel suo contributo, sulla figura dell’eroe “debole”, di quel Pompeo, un tempo Grande, che nella Pharsalia assume un carattere di vinto melanconico. Ma non solo: l’autrice, nel suo Pompée sous le regard de Cornélie: pour quelle image du héros? (pp. 180-191) ha l’intuizione di mostrarci il condottiero attraverso lo sguardo della moglie Cornelia, consorte che, a sua volta, si distingue per le sue illustri origini e qualità, quasi nel solco dell’exemplum costituito dalla sua più celebre omonima, la madre dei Gracchi (p. 181). Al Grande sconfitto è dedicato anche lo studio di F. Galtier, Un tombeau pour un grand nom: le traitement de la dépouille de Pompée chez Lucain (pp. 193-202): si rileva qui che l’assassinio di Pompeo sia ispirato al modello della fine di Priamo nell’Eneide, mettendo in atto, però, l’artificio del rovesciamento e dell’inversione, giacchè, in Virgilio (Aen. II, 554 sgg.), Priamo decapitato era un cadavere sine nomine, mentre in Lucano, paradossalmente, sono proprio l’assenza del capo e lo sfregio patito dal cadavere a dichiararne l’identità (p. 202). Segue un saggio dedicato, in generale, a tutti gli episodi di decapitazione presenti nel poema, particolarmente nel libro VII, durante la battaglia di Farsalo, che l’autore si compiace di presentarci come grondante orrori: in Les têtes coupées dans le Bellum Civile de Lucain: des guerres civiles placées sous l’emblème de Méduse (pp. 203-213), A. Estèves ricorda infatti come, di fronte alla strage del campo di Farsalo, lucano si trinceri dietro all’artificio della preterizione, manifestando una reticenza significativa nel consegnarci una declinazione tipologica delle uccisioni, e proseguendo con un elenco in cui la topica ha un ruolo preponderante (Phars. VII, 626-630), aperto però, particolare non da poco, dalla menzione delle teste mozzate, perché l’atto della decapitazione è quello maggiormente rivelatore del carattere intestino e parentale del conflitto, già evocato nel prologo. Procedendo lungo questa linea di analisi, il successivo studio, di N. Calonne, Cadaver dans le Bellum Civile (pp. 215-223), analizza l’alternanza d’uso fra il termine corpus e, appunto, cadaver nel poema lucaneo, mettendo a confronto le occorrenze emerse da tale rilevazione con quelle proprie di opere coeve (Seneca tragico), anteriori (l’Eneide, le Metamorfosi), o successive (la Tebaide, gli scritti di Tacito). Dall’analisi emerge che occorrenze lucanee del secondo termine sono schiacciantemente più numerose, in quanto esso designa un corpo morto di cui nessun vivo si è fatto carico per i riti funebri, al fine di instaurare una “pacifica continuità fra vivi e morti”: infatti, cadaver designa un corpo oltraggiosamente abbandonato, per impotenza, negligenza o addirittura per intenzionale sfregio da parte dei vivi. E questo uso di cadaver, a sua volta, ha anche un’implicazione metaforica non da poco, poiché la presenza massiccia del termine nella Pharsalia sta, simbolicamente, a indicare l’abbandono del corpus Romae, un’entità in altri tempi viva e vitale, ma che ora giace, malamente abbandonata, come un soldato ferito a morte di cui nessuno più si cura (p. 223).

In questo senso, non possiamo non apprezzare la ratio che guida la progressione nella disposizione di questi saggi nella seconda sezione del volume: si va infatti dall’analisi delle forze e delle figure collettive (le donne, il lamento femminile, il senato, le masse), all’attenzione per i tre protagonisti (Cesare, Catone e Pompeo) e, infine, dalla morte del Grande, si passa a quello che è il nucleo caldo del poema lucaneo, la tematica non semplicemente funeraria, ma della morte violenta, della pulsione omicida e fratricida che rischia di travolgere sinistramente Roma fino a farla affogare nel suo stesso sangue.

La terza sezione del volume (pp. 227-325), non a caso intitolata Aspects historiques et symboliques, contempera lo studio degli aspetti di pensiero più propriamente attinenti alla storia con elementi simbolici: è il caso dello studio che apre – e, per così dire, dà il tono -  a tutta la sezione, dedicato, ovviamente, al concetto di guerra civile che insidia l’assetto della patria e dei valori tradizionali, U. Egler, Die Geschichte hinter die Geschichte: Lucan und die römische Geschichte vor dem Bürgerkrieg (pp. 227-240). Segue poi il contributo di P. M. Martin, La “barbarisation” du Bellum Civile chez Lucain (pp. 241-254), che si sofferma sul particolare della composizione degli schieramenti di Pompeo e Cesare, e che si conclude suggerendo che, in base alle forti consonanze rilevate, alle fonti solitamente chiamate in causa per ricostruire il laboratorio poetico lucaneo, si debba aggiungere anche l’Epistolario ciceroniano. Ancora al personaggio di Pompeo, ma stavolta colto nel suo rapporto con il modello di Livio (ovviamente ricostruibile soltanto dalle periochae, e dal testo di Floro, che non è propriamente un riassunto, ma si basa essenzialmente sui libri Ab Urbe condita), è dedicato il contributo di B. Mineo, Le Pompée de Lucain et le modèle livien (pp. 255-266).

Ampliando la prospettiva, si passa con P. H. Schrijvers, L’espace géographique dans le récit lucanien. Lucain et Érathosthène de Cyrène (pp. 267-279) ad analizzare il rapporto fra il poeta latino e il grande scienziato e geografo ellenistico, ridimensionando, in parte, la consolidata serie di pregiudizi negativi a proposito delle conoscenze geografiche lucanee. Il contributo successivo, di P. Asso, L’idée de l’Afrique chez Lucain (pp. 281-284) esamina invece più nel dettaglio l’idea che del continente africano può avere il poeta di età neroniana, un’idea che assomma in sé caratteri indubbiamente derivanti da conoscenze e studi di tipo geografico, e altri derivanti dalla considerazione dell’Africa come di uno spazio esotico, simbolico e ostile, ma tuttavia pur sempre parte del nostro mondo, di quel mondo che ha visto nascere e trionfare Roma. Lo studio, immediatamente seguente, di G. Zecchini, Lucano tra i due Domizi (pp. 295-301), prende le mosse dalla rilevazione della scarsa presenza del genere storiografico nel panorama letterario del regno di Nerone e, al contrario, dell’abbondanza di poesia di argomento storico, di argomento troiano (tema che, nella prospettiva dei Romani, significava soprattutto indagare le origini del proprio popolo e della propria patria) o riferita alla storia romana più recente. Se invece consideriamo i contenuti del poema lucaneo, è chiaro come Nerone sia chiamato in causa anche dal fatto che il suo trisavolo è protagonista di due episodi cruciali nel poema e nella storia di Roma, la resa di Corfinio (Phars. II, 478-525) e la battaglia di Farsalo (Phars. VII, 597-616). Ma l’enfasi con cui Lucano si sofferma sull’Enobarbo “non poteva in nessun modo essere scambiata per un omaggio alla gloria gentilizia dei Domizii in quanto gens di Nerone” giacché per il poeta “l’alternativa drammatica fra libertà e clemenza è racchiusa (…) nell’evoluzione all’interno di una gens tra Enobarbo, che conserva la sua libertà sino alla morte, e Nerone, che pone a fondamento del suo regno una clemenza liberticida” (p. 299). Non stupisce, pertanto, che, di fronte a un poema con le chiare stimmate di un’opera sovversiva, emerga chiaro, per contrasto, tutto il significato del progetto di epos coltivato da Nerone, e, ovviamente, l’effetto che il poema del nipote di Seneca ebbe “sul principe e sulla sua decisione di riscrivere personalmente la storia di Roma” (p. 301).

Sull’episodio storico del passaggio del Rubicone si sofferma invece il co-curatore del volume Olivier Devillers, con il suo Le passage du Rubicon: un itinéraire de l’information (pp. 303-312), ove si dimostra come il genio poetico lucaneo si palesi, nel celebre brano del libro II, nel saper fondere in una sola visione il trittico di tre scene-cardine liviane aventi per soggetto l’attraversamento di tre fiumi (rispettivamente Ebro, Rubicone, Elba). Il successivo contributo di G. Flamerie de Lachapelle, Nature et rôle du début du discours de Pothin dans le Bellum Civile de Lucain (8.484-495) (pp. 313-325) analizza il discorso del cortigiano e consigliere dell’imbelle Tolomeo, un discorso che potrebbe essere definito “un manifesto teorico in favore della tirannia” (p. 313) messo a confronto con il discorso di Teodoto secondo Plutarco (Pomp. LXXVII, 6-7). Quella delineata dalle parole di Potino è una “tirannia pragmatica” (p. 317) e, al contempo, una ragionata perversione del discorso politico stoico (pp. 318-319), che si presenta però nelle vesti, ambiguamente pratiche, di una concezione politica apparentemente fondata sul buonsenso e la ragionevolezza, mentre il rovescio “in positivo” di questa teorizzazione è rappresentato dal De clementia senecano.

Completano il volume, rendendolo uno strumento di consultazione assai prezioso, un’imponente Bibliographie générale (pp. 328-344), un indice dei loci del Bellum Civile citati (Index des passages cités, pp. 345-361); uno dei personaggi storici menzionati (Index des personnes, pp. 363-367), uno dei luoghi geografici e dei popoli (Index des lieux et des peuples, pp. 369-370), oltre che, per concludere, un Index variorum (pp. 371-373).

Il valore di questa raccolta di atti congressuali è non solo quello di aggiornare la bibliografia su un autore capitale per la storia della poesia latina, ma anche quello di farci andare oltre il semplice livello di apprezzamento estetico per la potenza evocativa dell’opera, un’epopea di violenza, che si profila, in certi passi, come conflagrazione cosmica dai risvolti catastrofici, vero “funerale del mondo” (Phars. VII, 616, in funere mundi); soprattutto, però, questi saggi permettono di approfondire la comprensione sia dei singoli filoni tematici commisti nel poema, e cioè la retorica, la poetica e la storia, sia degli stretti legami intercorrenti fra loro.

Silvia Stucchi, Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano).


[1] Ovvero, come recita il sottotitolo del contributo, Le nozze (coi fichi secchi) di Ermete Trismegisto e di Filologia, in P. Esposito-G. Nicastri (edd.), Interpretare Lucano. Miscellanea di studi, Napoli 1999, pp. 39-83.

[2] Cfr. rispettivamente M. Durry (éd.), Lucain, Entretiens sur l’Antiquité classique 15, Vandoeuvres-Genève, 1970; Fr. M. Ahl, Lucan. An introduction, Cornell Studies in Classical Philology 39, Ithaca-London 1976.

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